Dopo due anni di guerra, un accordo mediato da Trump ferma i combattimenti. Previsto lo scambio di 48 ostaggi con quasi 2.000 prigionieri palestinesi. Ma la pace resta un miraggio: irrisolti i nodi del disarmo di Hamas e del futuro della Striscia.

Una tregua fragile dopo due anni di guerra

GAZA/TEL AVIV – A mezzanotte, le armi hanno iniziato a tacere a Gaza. Un accordo per un cessate il fuoco, annunciato dal presidente americano Donald Trump e approvato nella notte dal governo israeliano, è entrato in vigore, portando un fragile raggio di speranza in una regione devastata da due anni di conflitto. Il fulcro dell’intesa è un drammatico scambio umano: Hamas rilascerà i 48 ostaggi israeliani ancora prigionieri, di cui solo 20 si ritiene siano ancora in vita, in cambio della liberazione di circa 1.900 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane.

L’accordo, definito “un grande giorno” da Trump , prevede una tregua di 42 giorni e un ritiro parziale delle truppe israeliane, che manterranno il controllo su circa il 53% della Striscia. A monitorare il cessate il fuoco sarà una task force di 200 soldati a guida statunitense, di stanza in Israele.

Gioia a Tel Aviv, speranza tra le macerie a Gaza

La notizia ha scatenato reazioni emotive contrastanti. A Tel Aviv, le famiglie degli ostaggi hanno festeggiato tra le lacrime. “I nostri cari stanno tornando a casa”, ha dichiarato il loro forum, ringraziando Trump per la mediazione. A Gaza, la tregua è stata accolta come una “sospensione del terrore”. Centinaia di migliaia di sfollati hanno iniziato a muoversi tra le macerie, cercando di tornare a case che spesso non esistono più, in un paesaggio di distruzione totale dove, secondo alcune fonti, la guerra ha causato oltre 67.000 vittime.

La comunità internazionale ha applaudito l’intesa. L’ONU e l’Unione Europea l’hanno definita un “passo cruciale”, esortando a trasformarla in un cessate il fuoco permanente e in un percorso verso una soluzione a due Stati. L’Italia si è detta pronta a contribuire con aiuti umanitari e a partecipare a un’eventuale forza di pace.

I nodi irrisolti: la pace è ancora lontana

Tuttavia, sotto la superficie della speranza, i nodi cruciali del conflitto rimangono irrisolti. L’accordo non menziona il disarmo di Hamas, obiettivo di guerra dichiarato da Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha già chiarito che l’operazione militare per smantellare Hamas riprenderà se il gruppo non si arrenderà. D’altro canto, Hamas ha rifiutato categoricamente di deporre le armi e si oppone a un’amministrazione internazionale per Gaza.  

Questa è solo la “prima fase” di un piano di pace la cui continuazione è tutt’altro che certa. Con le pressioni politiche interne che montano sia su Netanyahu sia sulla leadership di Hamas, e con le questioni fondamentali deliberatamente rinviate, la diplomazia si muove sul filo del rasoio. Per ora, il Medio Oriente trattiene il respiro, sperando che questa fragile alba non si trasformi in un altro falso tramonto.