Una tregua fragile ma disperatamente attesa è scesa sulla Striscia di Gaza, portando con sé il silenzio delle armi dopo due anni di conflitto devastante. Dalle prime ore di venerdì 10 ottobre 2025, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno avviato un ritiro parziale dalle aree popolate, innescando la prima fase di un complesso accordo mediato dagli Stati Uniti che prevede il rilascio di ostaggi, la liberazione di prigionieri palestinesi e un massiccio intervento umanitario. Mentre il mondo accoglie con favore questo primo passo, sul terreno la speranza si mescola a un’acuta consapevolezza delle sfide che minacciano una pace duratura.

La Nuova Realtà sul Campo

Il ritiro israeliano non è un disimpegno totale. Le truppe si stanno riposizionando lungo una “Linea Gialla” predefinita, mantenendo il controllo di circa il 53% del territorio di Gaza. Quest’area include una vasta zona cuscinetto e punti strategici come il Corridoio di Filadelfia, consolidando una nuova realtà securitaria. Il ripiegamento, avvenuto sotto la copertura di bombardamenti che hanno causato vittime anche dopo l’annuncio dell’intesa, avvia un meccanismo a orologeria.  

Una volta completato il ritiro, Hamas ha 72 ore per rilasciare i 20 ostaggi israeliani ritenuti ancora in vita. In cambio, Israele libererà circa 2.000 prigionieri palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo. A monitorare la tregua sarà una task force internazionale di 200 soldati—provenienti da USA, Egitto, Qatar e Turchia—che opererà però da una base in Israele, senza una presenza diretta sul suolo di Gaza

Gioia Cauta e Aiuti Imminenti

Le reazioni all’accordo riflettono le profonde ferite del conflitto. A Tel Aviv, le famiglie degli ostaggi hanno festeggiato con sollievo e lacrime di gioia. A Gaza, invece, le celebrazioni iniziali sono state rapidamente smorzate dall’ansia e dal lutto per le immense perdite. Dopo due anni di sfollamenti continui, con il 90% degli edifici distrutti e un sistema sanitario al collasso, la popolazione è stremata e scettica.  

La priorità immediata è affrontare una catastrofe umanitaria senza precedenti. Le Nazioni Unite hanno pronti 170.000 tonnellate di aiuti e puntano a far entrare fino a 600 camion al giorno per contrastare la carestia e ripristinare i servizi essenziali.

Un Percorso Minato

La comunità internazionale, Italia inclusa, ha espresso un forte sostegno, definendo l’accordo un’opportunità per rilanciare il percorso verso una soluzione a due Stati. Tuttavia, la strada è irta di ostacoli. L’intesa ha provocato una frattura nel governo israeliano, con l’opposizione dei ministri dell’estrema destra. Questioni fondamentali come il disarmo di Hamas e la futura governance di Gaza sono state rimandate, lasciando un vuoto politico che potrebbe facilmente far precipitare la regione in una nuova spirale di violenza. Questo cessate il fuoco non è ancora la pace, ma un primo, vitale passo per uscire dall’orrore. La sua sopravvivenza dipenderà dalla volontà politica di affrontare le cause profonde di un conflitto che questa tregua ha solo messo in pausa.