Roma, 2 Ottobre 2025 – Il Centro Studi Confindustria (CSC) ha lanciato un avvertimento che suona come una doccia fredda sul futuro economico italiano, rivedendo drasticamente al ribasso le stime di crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) per il 2025 al modesto +0,5%. Una cifra definita senza mezzi termini come “anemica” e che conferma la fragilità intrinseca dell’economia, stretta tra le tensioni geopolitiche internazionali e i nodi strutturali irrisolti .

Il Ritorno al Sentiero Stretto

La previsione del +0,5% per il 2025 allinea pericolosamente Confindustria alla stima tendenziale di base del Governo, che si colloca tra +0,5% e +0,7% . Questo allineamento evidenzia che, senza interventi di politica economica significativi, l’Italia è destinata a crescere a un tasso di fatto nullo. La crescita attesa per il 2026, a +0,7%, non promette un’inversione di rotta .

Dietro questo rallentamento c’è un mix di fattori esterni e interni:

Impatto dei Dazi e dell’Incertezza Globale: L’economia italiana, fortemente orientata all’export, sta pagando un prezzo salato per l’escalation della “guerra dei dazi” e l’incertezza protezionistica, in particolare da parte dell’Amministrazione statunitense. L’impatto combinato di tariffe e volatilità è stimato in una minore crescita del PIL italiano di -0,3% nel biennio 2025-2026.  

La Crisi della Locomotiva Export: Il rallentamento dell’Eurozona e il calo degli scambi globali penalizzano l’Italia. Il PIL italiano ha già subito una battuta d’arresto nel secondo trimestre 2025, diminuendo dello -0,1%, causato principalmente dalla caduta delle esportazioni .

Il Paradosso della Produttività

Il dato forse più preoccupante del Rapporto CSC riguarda la produttività. Se da un lato l’occupazione continua a crescere (+0,9% ULA previste nel 2025) e il tasso di disoccupazione è atteso al minimo dal 2007 (6,0%) , dall’altro l’aumento dei posti di lavoro non si traduce in un proporzionale aumento della ricchezza prodotta .

L’industria manifatturiera, cuore pulsante del Made in Italy, è la più colpita: il valore aggiunto per ora lavorata è in calo del -4,7% rispetto al periodo pre-pandemico . Questo fenomeno di “occupazione senza crescita” comprime la produttività e aumenta il costo unitario del lavoro, erodendo la competitività delle imprese sui mercati internazionali già resi ostili dai dazi.  

La Ricetta Strutturale: Tagliare 16 Miliardi

Di fronte a questa diagnosi di anemia, Confindustria alza la voce, chiedendo al Governo un cambio di passo nella prossima Manovra di Bilancio. La priorità assoluta è il taglio strutturale del cuneo fiscale per un valore di 16 miliardi di euro.  

Secondo il Vice Presidente di Confindustria per il Capitale Umano, Giovanni Brugnoli, un taglio permanente offrirebbe a un lavoratore con reddito di 35.000 euro ben 1.223 euro aggiuntivi all’anno, l’equivalente di una “mensilità aggiuntiva in busta paga per tutta la vita lavorativa”.  

Questa proposta si scontra con l’approccio governativo, che ha sinora privilegiato l’uso di misure temporanee o lo stanziamento di fondi mirati come il rifinanziamento della Nuova Sabatini. Confindustria chiede di abbandonare le “misure ‘di parcheggio’ temporanee” come il Reddito di Cittadinanza — costato oltre 20 miliardi nei primi due anni e mezzo — che, pur essendo uno strumento sacrosanto di contrasto alla povertà, viene percepito come un disincentivo al lavoro e alla creazione di occupazione di qualità.  

In conclusione, la previsione al +0,5% pone l’Italia di fronte a un bivio cruciale. Il PNRR, se non accompagnato da riforme strutturali radicali sulla produttività e sul costo del lavoro, rischia di essere solo uno stimolo di spesa temporaneo che non risolve l’endemica debolezza di crescita del Paese, lasciando in eredità un debito pubblico persistentemente elevato . Il monito di Confindustria è chiaro: senza riforme incisive e strutturali, la crescita italiana rimarrà condannata all’anemia .


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