1° Ottobre 2025, New York/Milano – L’inizio del quarto trimestre si apre con un sonoro campanello d’allarme per l’economia statunitense. I dati macroeconomici rilasciati oggi hanno mostrato una doppia contrazione nel settore privato: un inatteso crollo dell’occupazione e un persistente affanno del comparto manifatturiero. Questi numeri mettono sotto forte pressione la Federal Reserve (FED), costretta a confrontarsi con uno scenario di rischio recessivo in rapida accelerazione.

Lo Shock Occupazionale: ADP in Territorio Negativo

Il dato più sorprendente e incisivo è arrivato dal Rapporto ADP Non-Farm Employment Change per settembre, che misura i nuovi posti di lavoro creati nel settore privato. L’economia americana ha registrato una perdita netta di -32.000 posti di lavoro, un risultato che ha stroncato le aspettative degli analisti, i quali prevedevano invece un aumento di circa 52.000 unità.  

Questo risultato segna una brusca inversione di tendenza rispetto ai mesi precedenti (ad agosto erano stati aggiunti 54.000 posti ) e fornisce la prova più tangibile di un deterioramento del mercato del lavoro, strutturalmente più debole di quanto si pensasse dopo la massiccia revisione al ribasso di 911.000 posti da parte del BLS fino a marzo 2025.  

Il segnale è stato amplificato dalla chiusura del governo (Government Shutdown), che rischia di ritardare il più atteso rapporto sui Non-Farm Payrolls (NFP). In assenza del dato ufficiale, il rapporto ADP assume oggi un peso eccezionale, agendo da unico faro affidabile sulla salute del lavoro a stelle e strisce.  

Manifatturiero in affanno: contrazione e inflazione dei costi

Il settore industriale non ha fornito sollievo. L’indice ISM Manufacturing PMI di settembre si è attestato a 49.1 punti, in leggero miglioramento rispetto al 48.7 di agosto e marginalmente sopra le stime. Tuttavia, il valore resta saldamente al di sotto della soglia cruciale di 50, indicando il settimo mese consecutivo di contrazione per l’industria manifatturiera americana.  

L’analisi dei sottocomponenti rivela le vere preoccupazioni:

Nuovi ordini (New Orders): Il sottoindice è crollato a 48.9 dopo essere stato in espansione ad agosto (51.4), un segnale chiaro di debolezza della domanda futura.  

Prezzi pagati (Prices Paid): Nonostante la domanda sia fiacca, le pressioni inflazionistiche sui costi degli input si sono appena attenuate, con l’indice a 61.9.  

Gli operatori continuano a citare dazi, costi elevati e incertezza come i principali freni all’attività.  

Le Voci della Stampa e la Reazione Immediata dei Mercati

La notizia ha generato una reazione immediata e coordinata tra le testate finanziarie.

La lettura americana: La stampa statunitense (come Bloomberg e Wall Street Journal) si è concentrata sull’implicazione monetaria. La debolezza dell’ADP è stata immediatamente vista come un pivot decisivo per la FED. Gli analisti hanno evidenziato come il calo dei Nuovi Ordini ISM sia il vero segnale di allarme per la crescita futura.  

L’eco in Italia: sebbene l’apertura sia stata nervosa, gli indici come il FTSE MIB hanno recuperato terreno (+0,83% al momento della chiusura) , sostenuti dall’aspettativa di una politica monetaria americana più accomodante.  

Il bene rifugio per eccellenza, l’Oro, ha continuato la sua corsa record, toccando nuovi massimi storici, spinto dalla prospettiva di tassi più bassi e dalla domanda per safe haven dovuta alle incertezze geopolitiche e allo shutdown governativo.  

Le implicazioni per la Federal Reserve: Il dilemma stagflazionario

La combinazione di un mercato del lavoro che si contrae e di costi che rimangono elevati (ISM Prices a 61.9) mette la Federal Reserve di fronte a un complesso dilemma:

  1. Obbligo occupazionale: La palese debolezza del lavoro, che segue i segnali di allarme di agosto, rafforza la posizione dei membri più dovish (favorevoli all’allentamento) della FED. Questo dato convalida a posteriori la decisione della FED del 17 settembre 2025 di tagliare i tassi, motivata dall’aumento dei “rischi al ribasso per l’occupazione”.  
  2. Rischio inflazione: Sebbene l’occupazione chieda tagli dei tassi per stimolare l’economia, i prezzi di input persistentemente alti e le aspettative di inflazione che rimangono elevate (5 anni al 4% secondo l’Università del Michigan ) impongono cautela. Allentare troppo presto, in questo contesto, rischierebbe di lasciare “il lavoro sull’inflazione incompiuto”.  

Il mercato, tuttavia, ha già deciso. Gli investitori stanno prezzando un percorso di tagli dei tassi molto più aggressivo rispetto alle previsioni della stessa FED (che indica solo un taglio nel 2026). La debolezza macroeconomica innesca, paradossalmente, un senso di ottimismo negli investitori azionari, che anticipano una maggiore liquidità da parte della Banca Centrale.

In sintesi, i dati di oggi suggeriscono che l’economia USA si dirige verso un rallentamento più brusco di quanto si sperasse, con un persistente rischio di stagflazione (bassa crescita con alta inflazione). La pressione sulla FED per agire in fretta è ormai innegabile.


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