Dopo 733 giorni di un conflitto devastante, che ha causato oltre 67.000 vittime e raso al suolo gran parte della Striscia di Gaza, un annuncio a sorpresa ha fermato il mondo. Nella tarda serata dell’8 ottobre 2025, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato, tramite la sua piattaforma Truth Social, che Israele e Hamas avevano raggiunto un accordo per un cessate il fuoco, ponendo fine a due anni di violenze ininterrotte. La notizia, accolta da un’ondata di sollievo globale, segna il culmine di un’intensa e non convenzionale attività diplomatica che ha spezzato uno stallo sanguinoso.  

L’intesa, che sarà firmata oggi in Egitto, si basa su tre pilastri immediati: un cessate il fuoco, uno scambio di prigionieri e un ritiro parziale delle forze israeliane (IDF). Sebbene rappresenti un innegabile successo diplomatico, la sua sostenibilità è minata dalle complesse questioni di fondo – il disarmo di Hamas e la futura governance di Gaza – che sono state rinviate a fasi successive e ancora incerte.

I Termini della Tregua

La prima fase dell’accordo, da attuare rapidamente, prevede meccanismi precisi per disinnescare la violenza. Hamas si è impegnata a rilasciare tutti i circa 20 ostaggi israeliani ancora in vita, in un’unica soluzione e senza cerimonie pubbliche, una clausola richiesta da Israele. In cambio, Israele libererà tra i 1.950 e i 2.000 prigionieri palestinesi, incluse figure di alto profilo ma escludendo i diretti responsabili dei massacri del 7 ottobre 2023. L’intero scambio dovrebbe concludersi entro 72 ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco.  

Contemporaneamente, le IDF inizieranno un ritiro parziale dalla Striscia verso una “linea concordata” prestabilita, un’operazione per cui l’esercito ha già avviato i preparativi. Un punto cruciale dell’intesa è l’impegno a garantire l’ingresso immediato e senza ostacoli di aiuti umanitari, carburante e materiali per la ricostruzione, sotto la supervisione dell’ONU.

Un Coro Globale, Dissenso Interno

La comunità internazionale ha accolto l’accordo con unanime approvazione. Il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha esortato le parti a rispettare pienamente i termini, mentre i vertici dell’Unione Europea l’hanno definita un’”opportunità epocale” per una pace duratura. Leader da Roma a Parigi, da Londra a Madrid, hanno espresso “immensa speranza”. Un ruolo chiave è stato svolto dai mediatori di Egitto, Qatar e Turchia, ringraziati pubblicamente da tutte le parti coinvolte.  

Tuttavia, il sollievo internazionale contrasta con le profonde divisioni interne in Israele. Mentre il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha salutato l’accordo come un “grande giorno per Israele”, la sua coalizione di governo è in subbuglio. Il ministro delle Finanze di estrema destra, Bezalel Smotrich, ha già annunciato il suo voto contrario, definendo il rilascio dei prigionieri una minaccia per la sicurezza. Questa spaccatura evidenzia la precaria posizione di Netanyahu, stretto tra la pressione internazionale e quella dei suoi alleati più radicali.  

Da parte palestinese, Hamas ha rivendicato l’accordo come una vittoria che sancisce “la fine della guerra e il ritiro delle forze di occupazione”. L’Autorità Palestinese di Abu Mazen ha accolto con favore l’intesa, sperando che apra la strada a una soluzione a due Stati. Nelle strade di Gaza, la notizia è stata accolta da scene di gioia e festeggiamenti, un barlume di speranza per una popolazione stremata.

Un’Alba Fragile

L’accordo di Gaza ferma un massacro e riporta a casa decine di persone, un risultato di per sé storico. Tuttavia, è solo il primo passo di un percorso molto più lungo e irto di ostacoli. Le questioni più spinose, come il disarmo di Hamas e il futuro politico della Striscia, sono state deliberatamente rimandate. La pace raggiunta è un’alba reale, ma eccezionalmente fragile, che sorge su un orizzonte ancora carico delle ombre di un conflitto irrisolto.