ROMA. Il dibattito sulla tassazione degli extraprofitti bancari torna prepotentemente all’attenzione, guidato dalle ferme dichiarazioni del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Vicepremier Matteo Salvini, che cercano di riposizionare l’iniziativa dopo il fallimento di gettito dello scorso anno.
“Chiediamo alle banche 5 miliardi su 44 di profitti, siano soddisfatte”. Con queste parole, il Presidente Meloni ha fissato il paletto politico e morale, presentando il prelievo non come una punizione, ma come un contributo equo e gestibile per un settore che ha registrato un’annata da record. L’obiettivo retorico è chiaro: normalizzare la richiesta, rendendola proporzionale all’eccezionale redditività generata dal rialzo dei tassi d’interesse.
Parallelamente, il Vicepremier Matteo Salvini ha fornito una destinazione esplicita e popolare per i fondi attesi: “Paghino il piano casa”. Salvini ha più volte enfatizzato la sproporzione tra gli utili record delle banche (stimati oltre i 40 miliardi di euro) e la necessità di investire una “piccola parte” di questi guadagni per misure sociali ad alto impatto, come il sostegno ai giovani che vogliono comprare casa e formare una famiglia.

Lo “Zero Euro” del 2023
Le dichiarazioni odierne acquisiscono significato solo se lette alla luce del clamoroso insuccesso della prima versione della tassa, introdotta nell’agosto 2023.
Nonostante le aspettative iniziali che prevedevano un gettito fino a 4,5 miliardi di euro per le casse dello Stato, il risultato effettivo è stato di “zero euro”.
Il flop fu determinato da una modifica normativa successiva all’annuncio: per placare i mercati (che avevano bruciato 27 miliardi di capitalizzazione in un giorno) e rassicurare le autorità di vigilanza , il governo introdusse una “scappatoia”. Agli istituti di credito fu data facoltà di scegliere se versare l’imposta o destinare l’ammontare dovuto al rafforzamento della riserva patrimoniale (CET1). Colossi come Unicredit e Intesa Sanpaolo optarono per il rafforzamento del capitale, neutralizzando di fatto l’obiettivo fiscale originario e trasformando l’operazione in un rafforzamento patrimoniale coatto, salutato con soddisfazione dal Vice Presidente della BCE.
La Sfida: Tra 2,5 Miliardi e il “Piano Casa”
Consapevole dell’insuccesso esecutivo, il governo si è riorganizzato. Per i bilanci futuri (si mira al biennio 2025-2026), l’obiettivo di raccolta è stato drasticamente ridimensionato e reso più pragmatico, mirando a un gettito tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro, cifra considerata più realistica.
Tuttavia, il dibattito resta un campo di battaglia politico.
1. Il Freno dell’ABI: L’Associazione Bancaria Italiana (ABI), per bocca del suo presidente Antonio Patuelli, ha ribadito il suo dissenso, sostenendo che le banche “pagano già troppe tasse”, citando l’IRES e l’IRAP già maggiorate come oneri specifici. L’ABI chiede stabilità normativa e un confronto istituzionale, anziché misure “a sorpresa”.
2. La Destinazione Contesa: La retorica di Salvini sul “Piano Casa” si scontra con la finalità legale e istituzionale dei proventi. Per legge, le risorse derivanti dall’imposta straordinaria sono destinate al sostegno mirato dei mutuatari più vulnerabili. 1 I destinatari del contributo sono soggetti con ISEE non superiore a 45.000 euro e titolari di mutui a tasso variabile per l’acquisto di abitazione principale, con un limite massimo di 200.000 euro. 1 Si tratta dunque di un “cerotto” chirurgico per le famiglie colpite dal rialzo tassi, ben diverso dal sostegno universale evocato dal più ampio concetto di “Piano Casa”