Washington, 21 novembre 2025 – La promessa elettorale del “Drill, baby, drill” si è trasformata oggi in una mappa geografica che ridisegna i confini energetici e politici degli Stati Uniti. Con una mossa senza precedenti, l’amministrazione Trump ha svelato il piano per aprire quasi 1,3 miliardi di acri di acque federali alle trivellazioni, infrangendo moratorie decennali in California e Florida e spingendosi fino ai ghiacci dell’Artico.  

Il “Golfo d’America” e la sfida ai Governatori

Il fulcro dell’annuncio del Dipartimento degli Interni non è solo numerico – 34 nuove vendite di concessioni previste tra il 2026 e il 2031 – ma profondamente simbolico. Il Golfo del Messico, ridenominato ufficialmente “Golfo d’America” tramite ordine esecutivo, diventa il cuore pulsante di una dottrina di “Dominio Energetico” che non accetta compromessi.  

La decisione ha innescato un immediato cortocircuito istituzionale. In California, il governatore democratico Gavin Newsom ha definito il piano “idiota” e “morto all’arrivo”, promettendo una guerra legale e burocratica per impedire che il petrolio estratto possa mai toccare terra. Tuttavia, l’amministrazione federale sembra intenzionata a bypassare i veti statali supportando aziende come la Sable Offshore nel riutilizzo di vecchie infrastrutture esistenti.  

Ma la vera sorpresa arriva dalla Florida, roccaforte repubblicana, dove il piano ha tradito le promesse fatte da Trump nel 2020. Il governatore Ron DeSantis e i senatori repubblicani si sono schierati apertamente contro le trivelle lungo le loro coste turistiche, aprendo una frattura interna al GOP proprio mentre il Presidente blinda queste decisioni attraverso il “One Big Beautiful Bill Act”, la legge quadro firmata a luglio che rende queste vendite un obbligo statutario.  

La Frontiera Artica e la partita Italiana

Mentre Washington brucia di polemiche, gli occhi dell’industria guardano a nord. Il piano prevede ben 21 vendite di leasing in Alaska, incluse le acque remote del Mare di Beaufort. Qui si gioca una partita che tocca da vicino l’Italia. Eni, una delle poche major internazionali rimaste attive nella regione artica mentre giganti come BP si ritiravano, si trova ora in una posizione strategica unica. L’azienda italiana, che ha già consolidato la sua presenza con esplorazioni nel progetto Nikaitchuq North, potrebbe essere tra i principali beneficiari di questa riapertura, nonostante gli enormi rischi ambientali e logistici.  

Questo intreccio energetico si riflette sulla diplomazia. A Roma, la strategia del governo per evitare i nuovi dazi commerciali minacciati da Trump sembra passare proprio per le tubature del gas. Di fronte alle politiche protezioniste americane, il piano del Ministro Tajani appare orientato a compensare il surplus commerciale aumentando l’import di GNL (Gas Naturale Liquefatto) e armamenti americani. Una mossa che legherebbe il fabbisogno energetico italiano alle nuove estrazioni promosse dalla Casa Bianca, sollevando critiche dalle opposizioni preoccupate per la coerenza con gli obiettivi climatici europei.  

Conclusione Il 21 novembre 2025 segna la fine dell’ambiguità: gli Stati Uniti scommettono tutto sugli idrocarburi, sfidando apertamente il consenso climatico internazionale della COP30 in corso in Brasile, dove la delegazione USA brilla per la sua assenza. Resta da vedere se la resistenza degli stati costieri e le battaglie legali, già depositate oggi da coalizioni ambientaliste per violazione delle norme sulla fauna protetta, riusciranno a frenare quella che si preannuncia come la più aggressiva espansione fossile della storia americana.