
L’epoca d’oro dell’anonimato fiscale per gli influencer e i content creator italiani è ufficialmente terminata. L’Agenzia delle Entrate (AdE) e la Guardia di Finanza (GdF) hanno infatti lanciato un’offensiva strutturata, trasformando i controlli da interventi isolati a una strategia sistematica. L’obiettivo: garantire l’equità fiscale in un settore dove l’evasione raggiunge cifre da record.
L’azione del Fisco è già visibile. I recenti blitz hanno portato alla luce casi eclatanti: da un creator che aveva nascosto 55.000 euro guadagnati su OnlyFans a una 22enne di Rimini che aveva omesso la dichiarazione di circa 300.000 euro provenienti da TikTok. Questi proventi sono stati qualificati come redditi da lavoro autonomo o d’impresa, soggetti a Partita IVA
La Trappola dei Questionari e la Retroattività
L’AdE ha avviato la prima fase di accertamento con l’invio di questionari dettagliati, focalizzati sull’anno d’imposta 2020. Le domande vertono su contratti, piattaforme utilizzate e, soprattutto, sui compensi occultabili: quelli incassati all’estero, in criptovalute o, in particolare, i beni ricevuti gratuitamente, noti come barter.
Il barter, lo scambio merce-servizio (ad esempio un orologio costoso in cambio di un post) è considerato compenso in natura e deve essere tassato sul suo Valore Normale, ovvero il prezzo di vendita al pubblico. Non dichiarare questi beni contribuisce all’evasione IRPEF e, in regime ordinario, all’omissione dell’IVA. L’accertamento, inoltre, può avere effetto retroattivo fino a cinque anni.
Il Cambiamento di Scenario: La Rete Internazionale DAC7
Il vero incubo per chi evade è l’imminente attuazione della Direttiva Europea DAC7 (con regole equivalenti in vigore anche nel Regno Unito). Questa normativa obbliga le piattaforme digitali (come YouTube, OnlyFans, TikTok) a comunicare direttamente all’AdE i guadagni degli utenti, eliminando il gap informativo sui redditi transfrontalieri.
Questo flusso di dati automatico, effettivo dal 2024, permetterà al Fisco di individuare rapidamente le discrepanze tra quanto dichiarato in Italia e quanto effettivamente incassato dalle piattaforme globali.
Il Rischio della Riqualificazione Giuridica
La posta in gioco è alta anche sul piano legale. L’attività di content creator, se svolta in modo professionale, non può essere considerata un “hobby” e richiede Partita IVA.
La giurisprudenza ha individuato due possibili inquadramenti, entrambi rischiosi:
–Lavoro Autonomo: Sfruttamento professionale della propria immagine (come confermato da alcune sentenze tributarie).
–Reddito d’Impresa: Se l’attività è organizzata come un’impresa o, peggio, se l’influencer agisce come un Agente di Commercio (ad esempio, usando codici sconto per provvigioni sulla vendita). Questa riqualificazione comporta non solo l’applicazione di diverse aliquote IRPEF (fino al 43% in regime ordinario), ma anche l’obbligo di iscriversi alla Gestione Commercianti INPS, con contributi fissi e retroattivi.
Le Conseguenze: Dal Recupero Fiscale al Reato
L’omissione combinata di proventi (monetari, esteri e in barter) espone i creator a sanzioni amministrative che possono arrivare fino al 240% dell’imposta non pagata.
Nei casi di maxi-evasione, la posta in gioco è la libertà personale: l’omessa dichiarazione di imposte per un ammontare superiore a 50.000 euro per periodo d’imposta integra un reato tributario (D. Lgs. 74/2000) punibile con la reclusione.
La digital creator economy è ormai matura per la professionalizzazione. Per i creator che non hanno ancora regolarizzato la propria posizione, l’urgenza di sanare il passato e pianificare correttamente il futuro è massima.